Il G8&G20 Youth
Summith 2012 si è concluso da poco più di una settimana. Il final
communiqué è stilato ed inizia ad essere diffuso: idee e proposte
per nuove politiche innovative e fresche, questo l'obiettivo delle 20
delegazioni.
Anche il committee
Development ha fatto la sua parte: ma cosa è stato proposto? Quali
sono le soluzioni che ci si propone di raggiungere nel prossimo
futuro?
Abbiamo parlato di food
security e alternative efficaci agli aiuti umanitari.
Raggiungere la sicurezza
alimentare non è certo cosa facile: significa garantire
un'alimentazione corretta e di qualità. Ma non solo, si tratta anche
di assicurarne l'accesso a tutti. Sono esattamente questi i due
pilastri fondamentali: quality e access.
Con l'idea ben presente
di non mirare solo ad un incremento della produzione, ma a
razionalizzare e migliorare tale produzione, abbiamo deciso di
favorire una nuova visione di agricoltura. Un'agricoltura di piccola
scale, che favorisca le famiglie e le comunità locali. Attraverso
cooperative di produttori cerchiamo di spostare l'asse di potere
dalle grandi multinazionali occidentali verso una produzione più
sostenibile, sia per l'ambiente, sia per la popolazione locale.
Superando piccoli
disaccordi, ci siamo tutti trovati favorevoli all'incentivo di una
small-scale agricolture come possibile soluzione.
Qualche problema in più
si è invece presentato sul fronte dell'aid effectiveness,
ossia come assicurare una buona allocazione degli aiuti che vengono
dispensati ai paesi in via di sviluppo. La posizione italiana è ben
chiara: rifiuto dell'idea e del concetto di aiuto inteso come
semplice trasferimento di fondi. Ciononostante è ovvio che, qualora
questi aiuti vengano dati, siano il più efficace possibile. Per
questo motivo si è cercato di garantire trasparenza e valutazione
degli impatti delle politiche umanitarie. Pur essendo contrario,
dunque, ho cercato di fare in modo che nuovi strumenti e azioni
vengano implementati. Purtroppo le soluzioni individuate sono state
vaghe e poco concrete. Ancora molti interessi si nascondono dietro le
politiche umanitarie: il potere, politico ed economico, continua ad
esercitato dalle potenze occidentali verso i paesi beneficiari
(stranamente coincidenti con i vecchi rapporti coloniali).
I
vecchi stati nazionali, con le loro politiche, ormai incontrano forti
limitazioni alla propria sovranità a causa del contesto economico e
finanziario internazionale. In un mondo interconnesso e
interdipendente, il processo di globalizzazione richiede una
rigenerata assunzione di responsabilità e un'interazione che conduca
ad uno sviluppo umano integrale, senza ridursi alla sola dimensione
economica e tecnologica.
Occorre
sviluppare rapporti di cooperazione veri, rispettosi, che comprendano
la nuova comunità umana sempre più interconnessa con la
globalizzazione e la rivoluzione digitale: non si può (più)
guardare ad un nostro vantaggio o ad un nostro interesse se non
congiuntamente ai vantaggi e interessi dei nostri interlocutori. È
necessario un passaggio culturale profondo, che oggi è possibile se
si procede con gradualità, nonostante la sua urgenza.
Una
strada percorribile è quella di ripartire dalla centralità della
persona e riproporre il bene comune come aspirazione globale per dare
“a ciascuno il suo” e garantire stabilità, pace e armonia. È
questa la visione che sarebbe dovuta scaturire dal lavoro di venti
giovani: idee innovative sono venute fuori, certo, ma quello che mi
aspettavo era una volontà di cambiamento vera e incondizionata.
Forse
è stata l'aria monumentale e istituzionale che circonda gli uffici e
i monumenti di Washington che ci ha intimorito; forse il cibo
americano, troppo chimico e zuccherato, che ci ha assuefatti.
Ciononostante, il Final Communiqué, frutto delle lunghe
negoziazioni, pur essendo imperfetto e zoppicante, dev'essere punto
di partenza per future prese di coscienza e per un domani davvero
migliore.
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